Buon martedì a tutti 🍇
Iniziamo questa nuova settimana parlando di un argomento che ci sta molto a cuore e che è alla base della nostra filosofia di azienda produttrice di vini biologici: Le fermentazioni spontanee.
“Un modo unico e inimitabile per far sì che i vini si esprimano pienamente nel rispetto del nostro territorio.
Quando si parla di vini naturali, la prima cosa che viene logicamente in mente è la spontaneità del processo di produzione di un vino. Pochi apporti umani, abolito l’uso della chimica, poca (o nessuna) aggiunta di solfiti e poi, naturalmente: solo fermentazioni spontanee.
Soffermiamoci un attimo su questo termine e chiediamoci cosa sia effettivamente la fermentazione spontanea di un vino. Significa che non vengono aggiunti lieviti selezionati? Sì, anche.
Addentriamoci quindi insieme nel vasto mondo della fermentazione spontanea dei vini naturali, passo dopo passo.”
La fermentazione alcolica
“Partiamo dall’inizio: se dovessimo spiegare cos’è il vino, diremmo che è succo d’uva fermentato. L’uva, infatti, una volta raccolta e trasportata in cantina, può essere sottoposta a diraspatura e pigiatura, fino a ottenere un succo, privo o carico di vinacce con o senza raspi, chiamato mosto. Una volta ottenuto il mosto, però, occorre trasformarlo in vino. Come avviene questo processo? Attraverso una particolare famiglia di funghi unicellulari, i lieviti. I lieviti sono microrganismi che partecipano, o meglio: permettono la fase di fermentazione alcolica. Grazie agli enzimi prodotti dai lieviti Saccharomyces cerevisiae – il famoso “lievito di birra” – presenti sulla buccia dell’uva, il lievito scompone gli zuccheri complessi presenti nell’uva e poi – in una seconda fase – converte gli zuccheri semplici in alcol etilico.”
I lieviti nel vino
“Ora, una volta compreso come avviene il processo di fermentazione nell’uva, ci poniamo la prima grande domanda: dove si trovano i lieviti coinvolti nella fermentazione alcolica?
Sembra ovvio ma non lo è: oltre alle bucce dell’uva, come già detto, i lieviti responsabili della fermentazione si trovano in cantina. Per la precisione, nelle botti, tra le pareti delle vasche, sulle pareti, nelle vasche… insomma, in tutto l’ambiente che le circonda. Di conseguenza, la cantina, con il passare del tempo, sviluppa un vero e proprio habitat personale, ricco di lieviti diversi e unici. In questo modo, la cosiddetta “biodiversità della folla microbica” permette di valorizzare al massimo il patrimonio enologico di un produttore.
Lieviti selezionati
A questo punto viene spontaneo chiedersi: ma se i lieviti sono ovunque – se anzi ci circondano – tanto che alcuni produttori non permettono a nessun estraneo di entrare nelle loro cantine, altrimenti rischierebbero di “spiazzare” il potenziale dei propri lieviti, perché aggiungerli artificialmente? Che il mondo sia pieno di lieviti è una verità assoluta e consolidata. Da qui a dire che è facile permettere la fermentazione spontanea, beh, proprio no.
I produttori convenzionali che scelgono di aggiungere lieviti selezionati ai loro vini lo fanno principalmente per rendere più rapido e semplice il processo di fermentazione. Aggiungere lieviti e colture batteriche significa accumulare in brevissimo tempo una quantità di etanolo sufficiente a coprire le specie microbiche, in altre parole: i sapori dei vini vengono omogeneizzati, non permettendo loro di esprimersi nei tempi e nei modi che la natura richiede. I lieviti selezionati sono identici ai lieviti autoctoni in termini di genetica e metabolismo, ma la loro riproduzione avviene in un ambiente controllato. Sono “selezionati” perché con il loro utilizzo non c’è il rischio di danneggiare la qualità del vino. Sono lieviti con un’eccellente resistenza alle condizioni ambientali e che non causano effetti indesiderati. Vengono inoculati nella fase di fermentazione e permettono di controllare l’intero processo.”
Lieviti indigeni
“I lieviti indigeni sono pericolosi? Sì. O meglio, se si utilizzano solo lieviti indigeni si corrono due rischi principali:
I tempi: la fermentazione si blocca, non parte o rallenta.
I risultati: il vino rischia di essere difettoso a causa di una fermentazione anomala.
Quindi sì, non aggiungere lieviti è un gioco che pochi sono disposti a fare. I produttori che decidono di lasciare che le fermentazioni avvengano spontaneamente sono coloro che decidono deliberatamente di lasciare che il processo chimico di trasformazione degli zuccheri in alcol avvenga naturalmente, senza aiuti esterni. Le fermentazioni spontanee sono quindi un argomento difficile da trattare, che solo gli enologi più preparati e studiati possono gestire con la dovuta cura e attenzione.
Lasciare lavorare i lieviti indigeni significa condurre una fermentazione che potrà naturalmente rallentare, fermarsi e ripartire con l’aumento delle temperature estive, con il rischio di compromettere il risultato finale. Significa dare al vino il tempo che si merita, ma anche e soprattutto permettere il pieno sviluppo del patrimonio organolettico contenuto in una bottiglia e che si sprigiona nel momento in cui viene aperta.”
Le fecce fini
“Una volta completato il ciclo vitale, i lieviti indigeni precipitano per autolisi e ciò che rimane sono le cosiddette “fecce fini”, responsabili di aumentare ulteriormente la complessità di un vino. Le fecce fini sono quei sedimenti che si formano al termine della fermentazione alcolica: in altre parole, sono i lieviti esausti che, grazie all’autolisi, rilasciano le sostanze aromatiche che percepiamo a livello gusto-olfattivo.
I lieviti selezionati, invece, impoveriscono il vino perché ne omogeneizzano gli aromi e i sapori, limitando la naturale espressione di un vitigno e di un terroir. Riuscire a non aggiungere lieviti selezionati, a non creare il famoso pied de cuve (il “piede di partenza”) e a non controllare le temperature durante la fase di fermentazione significa conoscere il mondo del vino.”
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